Penso, scrivo, cado. Mi tiro su. Errante. Errante è la mente, ed il corpo appresso, a seguito dell’orda di pensieri che attraversano imperturbabili le vie di questo mondo tetro.
Un palcoscenico buio, coi sedili illuminati ed un sipario scassato, che non cala neanche a pregarlo.
Ed una massa di genti amorfe si compatta in un’ameba indistinta, ad osservare inerme quello sfacelo davanti agli occhi, spalancati, quel teatro d’orrori e brutture, mentre va in scena il dramma della tua vita.
Che il dolore è artistico, tristezza e insofferenza due splendide interpreti di una tragedia ridondante, che non stanca mai di ripetersi. E’ un barbone accasciato al suolo tra i passi svelti di un’umanità in ritardo, frenetica e isterica, che popola queste terre avvizzite.
E io sono su questo palco, grida mute si sporgono dalle labbra, restano sospese a mezz’aria, a fissare i carnefici di questa farsa, di questa patetica scenografia che ci hanno imposto di interpretare.
Sola e inquieta, a vagabondare senza meta, su e giù per questi luoghi, sotto gli sguardi sgranati indifferenti di chi ti osserva senza emozione.
Riflessa in quegli specchi vuoti, a mandar giù veleno. Ti accasci e perdi il fiato. Ovazione.
Si stringono tutti un applauso.
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