Cronache dalle Calabria: la rivolta degli alberi del 2014

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Eravamo nel freddo marzo del 2014 e sulle verdeggianti montagne calabre giunse voce che di lì a poco sarebbero arrivati i tagliatori di alberi. Il movimento degli alberi, che fino ad allora aveva perso diversi compagni tra lacrime di resina e linfa calda, si spostava, ogni anno, lentamente, verso il Nord ma questo non bastava per mettersi al riparo. E questo da epoche remote. Già al tempo dei bretti, con la conquista dei romani, quegli alberi ad alto fusto, coperti di resina con le chiome che cambiavano colore dal verde scuro al grigio argento nella luce cangiante delle giornate fino a ricoprirsi come di glassa bianca sotto le nevicate, venivano tagliati e portati via verso Roma. Si racconta che nel corso del tempo gli abitanti di quei boschi avessero imparato a riconoscere il suono del pianto degli alberi che risuonava fino a valle. Quell’anno, i pini larici, gli abeti bianchi, i faggi e il sottobosco, marmotte, tassi, lupi, volpi scoiattoli, si riunirono per discutere e decidere insieme una strategia per resistere. Le assemblee duravano notti intere fino all’alba, in un clima di forte attenzione e collaborazione. Alla fine si decise che le radici, cambiando posizione nel terreno, avrebbero creato una trincea intorno alla quale i rovi, a loro volta, sarebbero cresciuti costruendo una barriera. Altre trappole furono costruite qua e là, riempite di sterco di mucca e coperte da muschio. Quando la banda dei tagliatori arrivò, pensava di trovare il lavoro facile come ogni anno, scesero dai grandi SUV e s’incamminarono su per il sentiero. Sulla strada trovarono una volpe con una lunga coda, che sfrecciò via a grandi balzi, con gli occhi pieni di paura cercando di schivare i colpi di fucile di un bracconiere, che ammazzava volpi e lupi per farne pellicce per sua moglie. Arrivati nelle vicinanze della trincea, i rovi tennero la postazione e solo dopo due ore la banda dei tagli riuscì a passare finendo nel fossato. Lì accadde una cosa spettacolare: gli alberi a largo fusto, i più anziani, con le loro chiome si unirono a quelli più giovani fino a formare un grandissimo albero cuneiforme. Questa convergenza aveva creato un vento che si gonfiava sempre più, facendo cadere chili di aghi sui tagliatori che riuscirono a salvarsi solo perché si aggrapparono ad alcune radici compassionevoli per uscire dalla trincea, scappare verso i SUV, mettere in moto e ripartire. La storia della rivolta degli alberi viaggiò per la Calabria, portata dagli uccelli migratori di luogo in luogo, e poi dal sud al nord, verso Amburgo e oltre. Intanto in Calabria, quell’azione comune in difesa della bellezza e della giustizia vide piano piano uscire dalle case gli abitanti dei paesi che, come quelli della città, erano stati per anni vittime di un sortilegio che gli faceva vedere il bene al posto del male e viceversa. Fu così che si giustificarono, con la complice passività di molti abitanti assoggetti dall’incantesimo, quelle grandi e piccole opere del disprezzo: le colate di cemento nelle città, di cui viale Mancini era un esempio; le discariche di rifiuti che aumentavano senza controllo, come a Celico; il traffico urbano e molte altre brutture ideate da politici e imprenditori. La rivolta degli alberi ebbe molti effetti, le forme di lotta vennero da paese in paese adeguate ai contesti locali e alle forze in campo. Dalla pre Sila una banda di scoiattoli neri ideò una catapulta che lanciava fiori ed erbe profumate per coprire il tanfo del percolato delle discariche. In quella primavera, i tentativi di far tacere a colpi di manganelli i rivoltosi fallirono anche perché, dopo alcune giornate di lotta, Gioacchino da Fiore apparve sul greto del fiume a lui caro, e da tempo inquinato, proferendo parole irripetibili. Il giorno dopo gli abitanti dei boschi e quelli della valle assaltarono i comuni, istituendo nuove forme di partecipazione. Nessuno poteva più decidere da solo cosa fare o non fare dei beni comuni. I politici abituati a gestire il comune come proprietà privata furono destituiti e impiegati utilmente nella pulizia dei fiumi e delle città. Anche alla Regione Calabria accadde lo stesso. Lì lo svuotamento del palazzo fu preceduto da un piccolo maremoto a Gioia Tauro. Quando le onde si ritirarono, non c’era più niente: il porto, l’inceneritore e quanto di brutto e dannoso vi era prima. Le opere di cura del luogo videro impegnati gli ex-portuali, i migranti e quanti per anni avevano subito lo strapotere d’investitori famelici, finti benefattori, abituati al saccheggio e allo sfruttamento. Nel corso della nuova bonifica, comparvero i resti di Euranova e quel giorno l’emozione fu grande e amplificata dal passaggio di una stella cometa in Orione. I ruderi di quell’insediamento, riportati alla luce da Madda, finalmente libera di dedicarsi agli scavi e da Hussein che veniva dal Togo, erano nella memoria della gente della piana, il segno della ribellione all’oppressione che prese forma con l’esodo di donne e uomini dalla vicina san Ferdinando, il villaggio voluto dal Marchese Nunziante a fine ‘800. In pochi anni, tornarono i vigneti e gli uliveti; la produzione della manna e di tante altre delizie locali. Ed i migranti, finalmente liberi dai loro sfruttatori, diedero vita a mille attività diverse, viaggiando senza limitazioni. La paura, il rancore, l’invidia e molte altre passioni tristi lasciarono spazio alla gioia. Anche le università furono travolte dalla spinta dei movimenti di protesta, e molti cambiamenti diventarono inevitabili. Gli studenti non accettarono più i programmi di studio imposti dal sistema e da allora iniziarono a studiare per piacere, contestarono i docenti che, in molti casi, erano dei tromboni e si organizzarono autonomamente. Le biblioteche rimasero aperte fino a notte inoltrata. L’idea della laurea in vista di un posto di lavoro che di fatto non c’era venne sostituita dalla convinzione che studiare era prima di tutto una cura alla confusione che imperava sostenuta dai manipolatori di mestiere. Il rettorato e il rettore scomparvero, e il bilancio diventò partecipato. Per inaugurare questa nuova fase un corteo, con lupi, volpi e tassi, scese dalla montagna si unì agli studenti e si diressero verso l’orto botanico, che da allora fu aperto e divenne uno dei luoghi delle assemblee collettive. Di molte altre storie non possiamo qui narrare, perché mancano le fonti, ma a Serra san Bruno, come in molti altri luoghi, da allora, ogni mese, un concerto di zampogne apre le assemblee popolari che hanno sostituito i farseschi consigli comunali di un tempo, mentre resta ancora da verificare se le streghe di san Fili abbiamo trovato poi un elisir per la ribellione.

 Meo gatto writer 

 


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