L’odore del ’77

 

9 febbraio 2013 alle ore 14.53

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Diecimila e rotti giorni fa la parola politica era fatta di materia combustibile. Poco meno di quarant’anni fa

ne faceva consumo la più agitata delle generazioni dalla storia d’Italia, quella che ha conosciuto più prigione e inceppato più a lungo i poteri costituiti.

Diecimila giorni fa la televisione era pubblica e democristiana, nel mondo i partiti di sinistra si chiamavano comunisti e nelle piazze d’Italia scendeva la più forte sinistra rivoluzionaria d’Occidente.

Un fantasioso ministro degli Interni, cioè di polizia, inventava squadre speciali di agenti in borghese che sparavano contro le manifestazioni di quella sinistra rivoluzionaria. Quest’era l’aria di palazzo nell’Italia del ’77.

Ero a Roma, spiantato da poco. Dopo sette anni di Lotta Continua a tempo pieno, un suo congresso ne aveva sancito il collasso. Non per estinzione, ma al punto di massima espansione si affondava da sola, senza bisogno di scissioni e spaccature. Il vincolo di appartenenza, il più forte fondato, si scioglieva come un nodo qualunque.

Ognuno di noi iscritti a quell’albo, schedati nei fascicoli della questura alla voce Lotta Continua, si ritrovò solo, esposto. Chi scelse di proseguire nelle lotte armate, chi si sfondò di droghe, chi cercò un modo di passare a vita privata dopo averne avuto solo una pubblica.

Iniziai a fare il manovale sui cantieri edili, giorni a sfiatare il corpo per crollare di sera. Non entrai nei reparti che avevano scelto le armi clandestine come sola manifestazione politica. Le armi per me erano state una dannata necessità, minore, non la soluzione decisiva. E poi non ero adatto a vivere nascosto, apparecchiare agguati, ridurre la parola politica a un rapporto di forza militare. Un’aria di convento di clausura mi teneva fuori. Non entrai in lotte armate per un’ obiezione minore.

Per molti fu l’anno di vite svoltate, di porte sbattute. In mezzo agli urti delle manifestazioni, vietate e fatte lo stesso, pisciavo contro il muro col pensiero di avere le spalle scoperte. Cambiavo spesso alloggio per non farmi prendere le misure.

Alla Fiat gli operai bloccavano la fabbrica senza preavviso, mettendosi d’accordo al volo mentre entravano al primo turno delle sei. Gli studenti si riversavano fuori dalle aule, fino all’ultimo giorno di scuola. L’Italia era percorsa da una corrente elettrico-politica. A proposito di quella erogata attraverso un contatore: nei quartieri popolari si praticava l’autoriduzione delle bollette pagando la fornitura di corrente: 8 lire a kilowattora, costo pagato dall’industria. Se la Fiat paga 8 lire, perché una famiglia ne deve spendere 35? Era una delle tante lotte organizzate dalla sinistra rivoluzionaria, che si occupava poi di impedire gli stacchi di energia all’arrivo delle squadre d’intervento.

Si possono guardare fotografie del ’77 e ricavarne qualche impressione, ma le immagini non ce la fanno a restituire l’odore d’Italia di quattrocento e rotti mesi fa.

C’erano altri ingredienti nell’aria, l’ossigeno era più politico e, soffiato forte nei polmoni di un corteo, si trascinava dietro anche l’ azoto, che è sempre stato maggioranza inerte.

Quell’aria faceva scricchiolare tutte le poltrone. Perché sono gli odori a suscitare un’epoca, non i filmati, le musiche, le pagine. Odori affumicati: al cinema si fumava e in piazza saliva il gas irritante dei lacrimogeni e si versava nafta con l’imbuto in bottiglie di birra, che avevano il vetro più sottile e si respirava inchiostro di ciclostile. Mancavano del tutto i deodoranti, i leghisti, gli aperitivi, si moriva lo stesso di amore ma non di Aids, non c’erano spedizioni di truppe all’estero, né barconi affondati nei canali di Otranto e di Sicilia. L’Italia era meticcia lo stesso, ma per via dei suoi magnifici dialetti.

Un giornalismo minore avrebbe chiamato il ’77 e dintorni «anni di piombo». Poteva essere vero per gli idraulici che ancora facevano gli scarichi dei bagni con il piombo. Poteva essere vero per le tipografie che ancora componevano le pagine con quel metallo. A doversi inventare un minerale, allora erano anni di rame, filamenti che conducevano corrente politica fino ai remoti angoli d’Italia. Ogni punto di periferia con una lotta in corso conteneva il centro di uno scontro generale e diffondeva intorno energia di cambiamento.

Perciò è l’odore il principe dei sensi che presiede alla memoria e sta nelle mucose di chi l’ha respirato e non può offrirlo a chi non c’era.

 

Erri De Luca


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